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Secondo una ricerca della Fondazione Ellen , il 73% dei vestiti dismessi  finisce per essere sepolto in discarica o incenerito, il che equivale a bruciare un camion della spazzatura pieno di prodotti tessili ogni secondo; il 12% viene riciclato  in applicazioni a basso valore quale stracci ad uso industriale mentre solo l’1% finisce per chiudere il ciclo, trasformandosi in altrettanti nuovi abiti. E questo, nell’epoca del fast fashion, è un problema.

Un altro problema è il fast fashion, che produce molti rifiuti e consuma molte risorse. Secondo la Ellen MacArthur, per fare 1 chilo di abiti di cotone ci vogliono 3 chili di prodotti chimici; ogni anno si usano più di 3 trilioni di bottiglie di plastica per fare vestiti; e l’industria tessile consuma 100 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno, che sono il 4% del prelievo globale di acqua dolce.

E’ sempre più importante orientarsi verso la Circular Fashion.

Cosa si intende per Circular Fashion

Creare vestiti utilizzando materiali innovativi e a basso impatto ambientale, usando il design come leva strategica e portando a scala tecnologie e soluzioni ecosostenibili, sono tutti fattori indispensabili per costruire una nuova economia tessile in cui i vestiti sono pensati per resistere nel tempo, essere usati di più e quindi, essere facilmente affittabili, ricollocabili e riciclabili, senza diffondere sostanze tossiche e causare inquinamento.

Il modello del Circular Fashion si basa sulla sostenibilità e mette in pratica le tre R della Waste Hierarchy (Riduci, Riusa, Ricicla)  nel settore della moda. Questo è in opposizione al modello lineare tradizionale di “preleva-produci-smaltisci” e segue il principio più generale della Circular Economy . Ma prima ancora rappresenta un sistema rigenerativo e sostenibile in cui i capi sono concepiti, realizzati, consumati e gestiti in modo da ottimizzare il loro valore e la loro durata e minimizzare la carbon footprint dall’inizio alla fine della catena del valore. Progetti circolari di successo son già stati portati avanti (Worn Wear di Patagonia , il marchio Eileen Fisher ) e dimostrano la possibilità e il successo dell’integrazione di principi circolari nei modelli di business della moda.

Ci sono diverse strategie possibili per creare un’economia circolare della moda. Fare abiti che resistano nel tempo, favorire modalità di noleggio anche nell’abbigliamento, incoraggiare la riparazione e il riuso creativo e puntare su materiali sostenibili sono tutti passi importanti. Tuttavia questo percorso non è privo di sfide, quali , ad esempio, la resistenza dei consumatori, la loro abitudine ad avere un abito per ogni momento, la necessità di poter disporre di collaborazione all’interno del settore e i limiti delle attuali tecnologie di riciclaggio. Nulla che, volendo non si possa superare.

Come le innovazioni digitali possono aiutare la Circular Fashion

Il primo passo è quello di cambiare la politica e di educare i consumatori a comportamenti più sostenibili, come comprare di seconda mano e preferire la qualità alla quantità. Inoltre, le innovazioni tecnologiche sono fondamentali per promuovere l’agenda della moda circolare. Si pensi ai software di progettazione 3D che permettono ai designer di realizzare prototipi virtuali, diminuendo di molto la necessità di campioni fisici e i rifiuti che ne derivano. In aggiunta, la Data Analytics può rendere più efficienti le catene di approvvigionamento, anticipando la domanda e prevedendo le tendenze in modo più preciso ed evitando quindi la sovrapproduzione. Poi attraverso la Blockchain è possibile tracciare l’intero ciclo di vita di un indumento in modo da guidare il consumatore verso scelte più consapevoli.

Fra gli esempi virtuosi di come il progresso tecnologico permette di ridurre l’inquinamento provocato dal fast fashion troviamo  la nuova materia prima biodegradabile Circulose, realizzata da Renewcell con il finanziamento di H&M, che deriva dalla trasformazione di vecchie t-shirt in cotone o di abiti realizzati in fibre naturali. La Circulose viene utilizzata in alcuni modelli di jeans Levi’s della linea Wellthread realizzati con un 60% di cotone organico proveniente dalla Turchia, il 20% di denim riciclato e il 20% di Circulose. Questi jeans sono inoltre progettati per essere riciclati in ogni loro parte.

Anche sul fronte chimico ci sono iniziative particolarmente interessanti. Il processo chimico a ciclo chiuso consente ad esempio a materiali naturalmente abbondanti, come cotone, canapa e lana, di assumere nuove forme e di funzionare a nuovi livelli. Ciò significa prestazioni simil-sintetiche ma da fonti naturali al 100% in modo da ridurre drasticamente l’uso di materie plastiche a base petrolchimica nell’industria del fashion.

Altri esempi di tessuti innovativi sono:

Microsilk, una seta sintetizzata in laboratorio che riproduce la sequenza del DNA della seta prodotta dai ragni, derivante dalla fermentazione della proteina di un lievito che ne determina anche la completa biodegradabilità a fine vita

Mylo che rappresenta una alternativa ecologica alla pelle derivata dal micelio, la rete di filamenti che costituisce le radici dei funghi. Questo materiale viene compresso, tinto e conciato per ottenere una consistenza e una texture simili alla pelle e grazie al processo di concia, viene arrestata la decomposizione naturale del micelio, rendendolo una valida alternativa alla pelle.

Perché la sostenibilità non è rimandabile: il caso del cashmere in Mongolia.

Esser sostenibili non vuol dire solo ridurre il proprio impatto sull’ambiente circostante, ma significa garantire la sopravvivenza della propria attività e il caso del cashmere in Mongolia ne è un chiaro esempio. In passato, il cashmere era raro e costoso, perché servivano le lane di quattro pecore per fare un solo maglione. Ma negli anni ’90, quando il paese ha visto la domanda crescere per questo prodotto, ha iniziato a farne di meno qualità ma di più quantità, adeguandosi al fast fashion. Così, il numero di pecore è aumentato di quattro volte, da 5 milioni nel 1990 a 21 milioni oggi. Nel 2017, il 70% dei pascoli del paese era già in desertificazione. Se questa tendenza continua, si prevede che nel 2025 ci saranno 44 milioni di pecore in Mongolia, con conseguenze disastrose sull’ambiente, tra cui il possibile esaurimento delle erbe.

Si è reso quindi necessario individuare soluzioni alternative e da qui il ricorso al cashmere rigenerato che, usando i materiali di scarto del processo di produzione , sta guadagnando popolarità. Perciò, il cashmere rigenerato non sembra essere solo una scelta ecologica, ma anche l’unica soluzione possibile. Inoltre, ha un impatto ambientale molto minore rispetto alla fibra nuova, diminuendo le emissioni del 92%.