Dopo aver approfondito in un recente articolo quali sono i rischi collegati ad un mancato controllo della supply chain e le possibili soluzioni per prevenirli, vediamo ora come il mercato delle soluzioni intelligenti e mobile per la Supply Chain sia in pieno fermento, con il costante sviluppo di applicazioni che non solo garantiscono visibilità completa sulle operations, ma permettono anche integrazioni con i sistemi che governano la produzione, lo stoccaggio, il trasporto e la vendita attraverso la gestione completa dei flussi informativi, finanziari e dei materiali. In questo articolo non vogliamo parlare di un prodotto in particolare, ma illustrare in generale quali sono i vantaggi di adottare uno soluzione digitale per la propria rendicontazione di sostenibilità.
LA NECESSITA’ DI ESSERE RESILIENTI
Nel corso del 2022 , con la crisi Ucraina, sono emerse le criticità legate alla gestione di fornitori, della flotta e dei magazzini. In questo scenario, gli aspetti che sono tenuti più sotto attenzione sono i costi delle materie prime e i tempi di fornitura. Questo ha comportato l’adozione di iniziative strategiche, con investimenti in soluzioni analitiche, che consentono di anticipare gli eventi e di potenziare gli strumenti di risk management, ottimizzando la gestione della liquidità. E , anche se a molti non è del tutto evidente, queste sono tematiche strettamente ESG e proprio queste sono le leve strategiche di una Supply Chain sostenibile e realmente efficiente sotto ogni punto di vista.

Senza un ecosistema che sappia reagire bene a eventi imprevisti, sia le aziende grandi che piccole possono subire rallentamenti o blocchi che non solo influiscono negativamente sui risultati economici, ma che hanno conseguenze potenzialmente disastrose su tutta la catena del valore, compromettendo la fiducia dei partner e dei clienti e danneggiando anche l’immagine dell’azienda. Questo significa che bisogna creare delle infrastrutture logiche e fisiche agili e adattabili alle sempre più frequenti fluttuazioni del mercati, assicurandosi che i propri fornitori abbiano a loro volta innescato meccanismi virtuosi di controllo delle proprie catene di approvvigionamento e produzione, con criteri che molto spesso si innestano sui principi di sostenibilità e rispetto della compliance normativa.
Il problema è che la realtà dimostra che la maggior parte delle aziende non conosce il proprio parco fornitori .
In passato le organizzazioni più avvedute hanno iniziato a usare le tecnologie digitali per monitorare i partner. Lo scopo principale era di gestire il rischio finanziario, valutando solo la solidità economica dell’impresa fornitrice per prevenire problemi in caso di crisi o fallimento. Poi si è resa necessaria una maggiore attenzione ai fattori di rischio, ampliando la raccolta e l’analisi dei dati sulla qualità e sull’efficienza del servizio. E ora queste stesse aziende stanno lavorando, nell’ambito del loro report di sostenibilità, alla definizione delle performance della propria filiera, ma mancano ancora gli strumenti e le competenze. In questo le soluzioni digitali che si stanno sviluppando possono rappresentare un valido alleato.
Questo diventa sempre più urgente se si considera che la catena di approvvigionamento delle aziende manifatturiere pesa per il 90% sull’impatto ambientale delle attività complessive. Il che significa che costituisce un fattore di rischio elevatissimo
La rilevanza dell’argomento si scontra però col fatto che i team interni non dispongono delle risorse umane e delle competenze per gestire le moli di informazioni che occorrono per uno screening ac- curato e costante della condotta dei fornitori.
IL NUOVO QUADRO NORMATIVO IMPONE UN CAMBIO NELLA GESTIONE DELLA SUPPLY CHAIN
Innanzitutto a partire da gennaio 2026, con la piena entrata in vigore della CSRD verrà estesa l’obbligatorietà della redazione del bilancio di sostenibilità, fino anche alle PMI quotate.
Ma soprattutto è con la direttiva Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD), attualmente in bozza, che la Comunità Europea ha presentato una proposta per il monitoraggio dei requisiti di conformità della catena di approvvigionamento : le aziende coinvolte dalla direttiva dovranno operare all’interno del medesimo framework normativo nell’ottica di azzerare eventuali vantaggi competitivi collegati a tematiche ambientali o di sfruttamento del lavoro, e non potranno più permettersi di non conoscere le cattive pratiche che si verificano lungo la loro catena di approvvigionamento in quanto verranno riconosciute responsabili in presenza di mancati adempimenti da parte dei fornitori, anche qualora si trovassero in Paesi extra-UE.
Operativamente le imprese avranno l’onere di effettuare la due diligence per prevenire futuri casi di violazioni, valutare e misurare eventuali impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente derivanti dalle attività di approvvigionamento, divulgare in modo trasparente le iniziative in materia di sostenibilità, imporre delle clausole contrattuali vincolanti che impongano dei criteri minimi prestazionali da garantire e creare un meccanismo che consenta di registrare eventuali reclami delle parti interessate.

LO STATO DELL’ARTE DELLE AZIENDE ITALIANE
Nonostante le tempistiche siano ristrette e spesso si senta parlare di sostenibiltà, per la maggior parte delle imprese italiane le tematiche ESG sono ancora percepite come molto lontane. Sia perché gli investimenti digitali sono al momento focalizzati sull’analisi dei dati e sulla cybersecurity, sia perché c’è ancora un significativo gap di competenze disponibili. E’ necessario però comprendere che il bilancio di sostenibilità ha una funzione socio-economica, nella misura in cui dà conto in maniera integrata degli aspetti sociali, economici e ambientali legati allo svolgimento dell’attività di business, rafforzando la riconoscibilità dell’azienda sul territorio, promuovendo la forza del brand e soprattutto imponendo all’azienda di fare una disamina interna mirata a verificare quali sono i suoi punti di forza e debolezza in un’ottica di sostenibilità a lungo termine, intesa come permanenza dell’azienda nei mercati del futuro. Infatti mettere nero su bianco i risultati ottenuti sul fronte dell’impatto ambientale e sociale, focalizza le azioni da compiere per migliorare costantemente i processi operativi, con la possibilità di creare efficienze e generare sensibili risparmi su ciascun task.
STRUMENTI DIGITALI E COLLABORATIVI

Tutto il processo di raccolta ed elaborazione delle informazioni per il proprio report di sostenibilità ha però senso solo se vede la partecipazione, ognuno per il suo ambito, delle diverse funzioni aziendali e della propria supply chain. È evidente che il sistema può funzionare solo nel momento in cui si prevede l’introduzione di una piattaforma unificata e capace, attraverso un’interfaccia user-friendly, di abilitare sessioni di lavoro con tutte le tipologie di professionalità coinvolte nelle operazioni di data collection e che consente di attivare flussi bidirezionali e automatizzati delle informazioni, durante gli scambi con partner e fornitori, semplificando sia gli invii che le ricezioni.
Questo tipo di strumenti ha poi il vantaggio di essere popolato con contenuti certificati e best practice di riferimento, nonché di fornire degli analytics in tempo reale che permettono all’azienda di inquadrare il suo posizionamento rispetto al mercato di riferimento e di fare confronti produttivi.
CONCLUSIONI
Nel corso dei prossimi anni si vedrà uno sviluppo massiccio di questa tipologia di strumenti e sicuramente per ogni tipologia di azienda si potrà trovare la piattaforma più adatta alle specifiche esigenze. Le aziende devono però convincersi che per la corretta e agile gestione del processo di rendicontazione di sostenibilità, le piattaforme digitali e di eProcurement saranno un validissimo alleato, garantendo la collaborazione dei soggetti coinvolti, la gestione dei flussi informativi e permettendo alle imprese il perfezionamento dei questionari di qualifica, dei parametri di selezione, dei Kpi e di tutto ciò che riguarda la sfera di misurazione dei fornitori.